top of page

ODY-C: e se la stessimo sottovalutando?


Mi sono chiesto spesso (beh non troppo spesso in realtà … diciamo qualche volta) se sia davvero possibile comprendere il reale valore artistico di un’opera che ancora non è stata neppure completata. Di solito è fin troppo semplice giudicare il successo (o il disastro) compiuto da un autore dopo che da tale successo/disastro sono ormai trascorsi anni se non decenni e dunque tanto il pubblico quanto la critica hanno avuto tutto il tempo di emettere un verdetto univoco e definitivo. Eppure quante volte ci è capitato di essere complici della generale sottovalutazione di un libro, di un fumetto o di una serie e di non riuscire a rendercene conto se non quando ormai era tardi? Il mio obiettivo quest’oggi è proprio quello di evitare di dovermi in futuro trovare in una situazione simile: non voglio rischiare di rendermi complice della svalutazione di un’opera che, come vedremo presto, mi sembra assai complessa e interessante. Magari prenderò una cantonata ma almeno se tra dieci anni ci renderemo conto che ODY-C era un mezzo capolavoro potrò dire ai miei amici che l’hanno sempre snobbata “io ve l’avevo detto” … d’altro canto è anche per avere queste soddisfazioni che ci si appassiona ai fumetti!

Da dove iniziare? In effetti gli argomenti, le idee e le tematiche proposte da questo comic book di fantascienza sono molte -alcuni direbbero troppe- eppure proprio la complessità dell’opera la rendono a mio modesto avviso anche assai più interessante: le sue pagine spaziano dai riferimenti omerici a quelli delle Mille e una Notte: sfogliandole è possibile riconoscere l’influenza tanto delle culture religiose indiane quanto delle diverse sottoculture occidentali con tutta la propria carica di bonaria perversione. Si potrebbe dire che gli autori stiano, per dirla alla carlona, mettendo un po’ troppa carne al fuoco, eppure se devo essere sincero preferisco di gran lunga chi ha il coraggio di rompere gli schemi e di proporre qualcosa di veramente inedito piuttosto che chi inizia a lavorare a un progetto limitandosi sempre e soltanto a scegliere l’usato sicuro; e se il prezzo da pagare per non conformarsi agli standard canonici è quello, ogni tanto, di rischiare di esagerare … beh direi che è un prezzo che si può essere disposti a pagare in fin dei conti.

Ad ogni modo ancor prima del comic book in sé credo sia interessante spendere due parole per coloro senza i quali esso non avrebbe mai visto la luce: il suo fumettista e il suo disegnatore. Il primo Matt Fraction è già noto al grande pubblico per “Casanova” (pubblicata nientemeno che con l’Image Comics), per l’umoristica “Sex Criminals) e soprattutto per l’apprezzatissimo “Hawkeye”. Il secondo, Christian Ward, è invece un giovane disegnatore solamente alla sua seconda esperienza in ambito fumettistico; ad alcuni quest’ultima scelta potrà essere apparsa curiosa proprio a causa dello scarno curriculum di Ward eppure personalmente trovo assai coraggiosa l’idea di affidare un progetto basato in gran parte (se non del tutto) sulla propria forza creativa ad un graphic designer pressoché alle prime armi ed in fondo le idee coraggiose meritano sempre rispetto.

La trama si basa prevalentemente su una sorta di reinterpretazione in chiave futuristica dell’Odissea solo che il protagonista non è Ulisse ma (udite udite!) una donna di nome Odyssia, vittima di stress post traumatico in seguito alla guerra appena terminata e da una naturale ma inconscia riluttanza verso la vita tranquilla e pacifica che la attende a casa. Per il resto, i vari numeri sono una continua altalena di viaggi interstellari, intrighi, rapimenti e … beh non voglio anticiparvi altro, leggetevi direttamente l’ODY-C no?

Ad ogni modo la domanda che verrebbe da porsi riflettendo su questo mix esplosivo di trovate innovative e di provocazioni mirate è per quale motivo una saga del genere a distanza di così tanti anni dalla sua prima pubblicazione risulta ancora essere tanto sottovalutata. Cioè non fraintendetemi so che ha venduto migliaia di copie in tutto il mondo e che Usa Today ne ha detto un gran bene e così via, eppure ogniqualvolta se ne parla si ha sempre la sensazione di doversi confrontare con un blocco più o meno granitico di persone che ne ravvisano piuttosto un’opera riuscita a metà che non una saga multiforme il cui impatto culturale nel proprio genere d’appartenenza potrebbe, con un po’ di fortuna, perdurare perfino negli anni a venire. In altre parole non staremo tutti commettendo quel secolare errore di non riuscire abbastanza rapidamente a comprendere il valore di un’opera? Non sarà ODY-C vittima di quella stessa innovatività che se da un lato ne costituisce la forza rappresenta al tempo stesso un impedimento verso la strada per essere appieno compresa? In caso di risposta affermativa suppongo che presto saranno in molti a dover chiedere scusa a Fraction e Ward, in caso contrario spero che nessuno tra qualche anno ricorderà più quest’articolo poiché per il sottoscritto potrebbe rappresentare una gran bella figuraccia.

Mattia Radice

Comments


bottom of page