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La lettura: sette luoghi comuni da sfatare.


Esiste un modo giusto per leggere un libro? Ne esiste uno sbagliato? Esistono in qualche modo delle regole da seguire, nello sfogliare le pagine di un romanzo o di una raccolta di poesie, oppure tutto ciò che dobbiamo fare per essere considerati dei buoni lettori (da chi, poi?) è semplicemente assecondare il nostro istinto e fidarci dei nostri gusti? Sarebbe difficile rispondere ad ognuna di queste domande, o perlomeno sarebbe difficile affrontare dei temi tanto complessi in modo sbrigativo e semplicistico. In compenso, è forse opportuno aprire una riflessione sulle tante risposte che sono state date nel corso degli anni a questi quesiti. Risposte spassionate, sincere, quasi sempre animate da un onesto desiderio di rendersi utili tramite i propri consigli, eppure, al tempo stesso, risposte che spesso sono cadute in quella tremenda trappola chiamata “retorica” trasformando quello che poteva originariamente essere un dibattito costruttivo nella sterile enunciazione di regole e di prìncipi, i quali a loro volto si sono sempre più distaccati dalle reali esigenze del lettore contemporaneo fino a divenire, a furia di essere ribaditi, degli autentici luoghi comuni. E dal momento che nulla può fuorviare un uomo più di una falsità che a forza di essere ripetuta viene percepita come vera, sarebbe forse giunto il momento di provare a smentire qualcuna di queste annose convinzioni.

1. Un libro è utile solo nel momento in cui siamo in grado di memorizzare quel che abbiamo letto. Nulla di più falso. Ovviamente ognuno di noi, dopo aver terminato un romanzo, vorrebbe conservare nella propria memoria quante più informazioni possibili, eppure ciò che conta maggiormente non è mai il ricordo che serbiamo di un libro ma piuttosto le sensazioni, le riflessioni e il piacere che esso riesce a provocare durante la lettura. È possibile a distanza di qualche anno dimenticare (quasi) tutto di un’opera, perfino i passaggi più salienti della storia stessa, eppure questo non vanifica in alcun modo la nostra esperienza né ci rende dei lettori meno credibili.

2. Essere dei lettori forti può portare giovamento alle persone con cui veniamo a contatto nella quotidianità e alla società che ci circonda. Questa è un’idea tanto romantica quanto ingenua, purtroppo. La lettura è per sua natura un’esperienza personale ed in quanto tale raramente può avere delle ripercussioni concrete sulle persone con cui veniamo a contatto. Considerare ogni lettura una potenziale fonte di arricchimento culturale è un segno di saggezza, ma sarebbe altrettanto saggio concentrarci sul nostro rapporto con il libro che stiamo leggendo senza coltivare la speranza che il resto del mondo condivida lo stesso percorso di crescita personale.

3. Non si può giudicare un libro prima di averlo letto. Questo in realtà non è un autentico luogo comune, quanto piuttosto una verità parziale. È innegabile che non sarebbe corretto esprimere un giudizio definitivo su un libro senza prima averlo terminato, eppure è altresì innegabile che nessun essere umano dispone del tempo o delle risorse necessarie per leggere qualunque opera letteraria esistente e che pertanto, nello scegliere le nostre letture, siamo in qualche modo chiamati ad effettuare una sorta di preselezione. Perché dunque effettuare tale vaglio in modo casuale, quando gli strumenti tecnologici contemporanei ci permettono di raccogliere tutte le informazioni necessarie sul genere di appartenenza di un’opera, sui riscontri da lei ottenuti e, in definitiva, su quali di esse sono più o meno adatte alle nostre esigenze?

4. Non bisogna mai assumere una posizione ideologica nei riguardi di un autore. In realtà è possibile farlo, a condizione, beninteso, di conoscerlo abbastanza bene da parlarne con cognizione di causa. Purtroppo o per fortuna l’unico modo per avere un approccio creativo nel corso di una lettura è quello di sviluppare un approccio critico nei confronti del testo che abbiamo davanti, e l’unico modo per raggiungere questo obiettivo è a sua volta quello di maturare dei punti di vista forti, talvolta spesso perfino radicali o in controtendenza rispetto a quelli imposti dai canoni estetici tradizionali. Se poi questo si traduce nel maturare un approccio ideologico nei confronti di uno scrittore, del suo stile o della corrente letteraria da lui rappresentata, in fin dei conti, dovremmo considerarlo un prezzo ragionevole.

5. Leggere è un atto esclusivamente razionale. Non lo è, non esclusivamente almeno. La lettura approfondita di un libro richiede l’utilizzo d’innumerevoli facoltà: istinto, passione, talvolta perfino il senso dell’ironia. Una delle caratteristiche che ammiro e che per certi versi invidio di più nei lettori maggiormente spregiudicati, è proprio quella di sapersi liberare dalle catene del senso comune e di travalicare il significato letterario delle parole, un’abilità che, come risulta facilmente comprensibile, non si consegue tanto col raziocinio quanto con un temperamento duttile e indipendente.

6. Un testo ispirato alle esperienze dell’autore andrebbe letto come un’autobiografia. Sbagliatissimo. Nessun libro, almeno nell’ambito della fiction, potrà mai basarsi esclusivamente sul vissuto di chi lo ha scritto, neppure quando gli eventi vengono narrati in prima persona o quando esiste un’evidente somiglianza tra il protagonista e chi lo ha creato. Un romanzo è sempre il frutto di un misto tra ricordi personali e fantasie, tra conoscenze maturate in modo personale ed altre frutto della creatività. Tentare di individuare il confine tra le due cose è un esercizio non solo inutile, ma perfino pericoloso. Più in generale, sarebbe sempre consigliabile attribuire poca importanza al vissuto di un autore in modo tale da non lasciarci fuorviare dalla sua storia per concentrarci invece sulle sue abilità letterarie.

7. Se un libro ha superato qualunque possibile selezione effettuata dagli anni e dalla storia, allora deve necessariamente essere un grande libro. Di solito lo è, ma ogni regola ha le sue eccezioni e in fondo, quant’anche un classico fosse un capolavoro potrebbe non essere un capolavoro per tutti. È sempre opportuno non lasciarsi mai fuorviare dalla “reputazione” di un’opera solo perché a scuola ci hanno insegnato che era perfetta (nessuna opera lo è) o perché abbiamo paura di essere percepiti come dei lettori superficiali e impreparati da chi invece lo ha apprezzato. I libri dovrebbero servire a renderci più liberi, non schiavi del pensiero comune o delle convenzioni, cerchiamo dunque di usufruire fino in fondo di uno dei pochi strumenti ancora in grado di garantirci questo privilegio e divincoliamoci con tutte le nostre forze da qualunque sovrastruttura possiamo autoimporci. O, per rimanere in tema con l’articolo, cerchiamo di liberarci da qualunque luogo comune.

Stefano Isabella.


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