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Il direttore risponde #1: ha ancora senso parlare di arte commerciale e arte di nicchia?


Gentile Direttore,

Chi le scrive è un (sedicente) artista nonché autore di libri per ragazzi e adolescenti. Sempre più spesso quando mi ritrovo a dover spiegare la natura delle mie opere ad amici o colleghi, mi capita di avere la sensazione che la gente faccia fatica a prendere sul serio me e il mio lavoro. Alcune volte ad essere sincero ho come la sensazione che il fatto di dedicarmi a un genere letterario storicamente considerato poco affine con i tradizionali canoni del tipico “romanzo intellettuale” mi porti ad essere categorizzato come un autore minore o addirittura poco credibile. Pertanto vorrei chiederle se dal suo punto di vista è ancora corretto scindere in maniera così drastica le forme d’arte commerciali da quelle considerate di nicchia e se non sarebbe invece più sensato superare ognuna di queste sciocche etichette una volta per tutte.

Cordialmente,

Pietro.


Gentile Pietro,

La questione da lei posta è estremamente complessa né sarebbe possibile rispondervi semplicemente con un sì o con un no. Prima di ogni altra cosa ritengo opportuno (ma non per questo facile) provare a trovare un’intesa sull’accezione che dovremmo attribuire al termine “commerciale” e all’espressione “di nicchia”: sono sicuro che ognuno di noi intende questi concetti in modo profondamente diverso senza necessariamente volerli contrapporre tra loro in una sorta di brutale dicotomia, il che ovviamente finisce in più occasioni col portare a una serie di fraintendimenti dialettici. Ad ogni modo, vorrei esprimere il mio dispiacere per il fatto che sente di essere vittima di così tanti pregiudizi a causa del genere letterario al quale si sta dedicando e non posso che concordare con lei sul fatto che sempre più spesso una parte della classe intellettuale contemporanea si ritrova a suddividere tanto gli artisti quanto le proprie opere in rigide categorie senza interrogarsi sulle reali peculiarità del loro lavoro o dei loro progetti. Al tempo stesso tuttavia ritengo che esista un pericolo opposto a quello cui lei stesso ha inizialmente accennato e che se possibile potrebbe rivelarsi ancor più insidioso non solo per la letteratura ma per il mondo della cultura in generale: quello di inserire in un unico grande “calderone” qualunque opera d’arte, indipendentemente dal processo che ha contraddistinto la sua creazione o dall’attitudine e dalle finalità degli artisti che le hanno generate. Potremmo davvero sostenere, secondo coscienza, che un libro di cucina sia uguale a un romanzo postmoderno o ad una raffinatissima raccolta di poesie? Potremmo davvero sostenere che i tormentoni musicali delle ultime estati siano equiparabili ai capolavori dei più grandi cantautori viventi? Credo che chiunque, perfino una persona poco avvezza alle dinamiche del mondo artistico, si renderebbe conto di quanto tale paragone sarebbe assurdo, inutile e forse perfino irritante a causa della sua capacità di creare inutile confusione laddove non ce dovrebbe essere bisogno. Potremmo dire, al contrario, che ognuno di questi artisti o creativi merita di poter godere della stessa dignità e di essere rispettato nello stesso modo tanto come uomo quanto come professionista poiché ognuno di loro in fin dei conti quando si dedica al proprio lavoro vi investe il medesimo entusiasmo, le medesime energie e la medesima passione, eppure questo non dovrebbe essere sufficiente a far sì che ciascun artista venga considerato uguale ai propri colleghi. Piuttosto suppongo che dovremmo concentrarci su un altro controproducente vizio del mondo contemporaneo: quello di abusare delle parole superiore e inferiore quando talvolta sarebbe sufficiente utilizzare un altro termine altrettanto eloquente e ben più adatto alla maggior parte delle circostanze in cui ci ritroviamo a parlare d’arte o di cultura … “diverso”. Diverso significa che ogni opera può diventare a proprio modo speciale senza per questo dover essere omologata o paragonata ad altre opere; diverso significa rispettare qualunque forma di creatività senza necessariamente doverci sentire obbligati ad apprezzarla; diverso, se proprio vogliamo, significa che talvolta sarebbe ingenuo cercare un fil rouge laddove abbiamo davanti solamente delle significative dissomiglianze. Se riuscissimo ad accettare tutto questo comprenderemmo con grande sorpresa che tanto l’arte cosiddetta commerciale quanto l’arte di nicchia possono trovare un proprio posto nel mondo senza che l’una escluda necessariamente l’altra. D’altronde talvolta è proprio la loro l’eterogeneità a costituire la grandezza dei vari artisti e non mi riferisco solamente alla diversità dei propri rispettivi percorsi quanto ad una sorta di difformità intrinseca ad ognuna delle proprie creazioni, siano esse visive o performative. Ritornando al suo esempio, lei ha accennato al fatto di scrivere romanzi destinati principalmente ad un pubblico giovanile e di essere considerato per questo motivo un autore d’ispirazione prevalentemente “commerciale” eppure non basterebbe una sola rubrica per enumerare i tanti scrittore che aderendo al suo stesso genere letterario hanno alternato pagine d’estrazione popolare con altre di matrice più profonda, colta e riflessiva: il tutto badi bene, sempre garantendo una credibile soluzione di continuità tra ciascuna di queste pagine. Pertanto mi auguro che non si lasci demoralizzare troppo facilmente dalle definizioni che le sono state o che le verranno attribuite, diversamente temo che la carriera di scrittore si rivelerà per lei drammaticamente in salita: d’altro canto certi mestieri non possono essere svolti senza un minimo di sana indifferenza nei confronti del giudizio della massa, o perlomeno nei confronti di parte d’essa. Spero vivamente d’aver risposto alla sua domanda in modo soddisfacente e ne approfitto per porgerle i miei migliori auguri in vista del prosieguo della sua attività letteraria.

Distinti saluti,

Gianmatteo Ercolino.


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