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Heidegger, Söderblome e quello strano concetto di “sacro”.


Non è un mistero che fu Martin Heidegger il primo a sfatare definitivamente il dogma secondo cui il sacro dovesse inestricabilmente intrecciarsi con il concetto di soprannaturale; non è un mistero che fu lui a declinare in chiave filosofica la concezione di Friedrich Hölderlin di un sacro interconnesso alla natura fino al punto da non poterne quasi prescindere e non è un mistero, in ultimo, che ciascuna di queste considerazioni ha cambiato dapprima negli ambiti accademici e in seguito nel modo di pensare delle masse quello che fino a quel momento poteva essere forse considerato uno dei pochi concetti sulla cui essenza o sulla cui possibile definizione non sembravano esistere troppi dubbi. Che ci crediate o meno non sono così sadico nei confronti dei miei lettori da volermi dilungare nell’approfondimento critico dell’evoluzione ontologica heideggeriana, perciò eviterei di dilungarmi troppo sul filosofo del Baden-Württemberg; eppure non posso far a meno che sottolineare come rispetto all’epoca in cui egli viveva c’è stato un sostanziale cambio di paradigma nei dibattiti accademici relativi ad argomenti affini alla sacralità, anzi volendo esagerare potremmo perfino asserire che il processo dialettico ha profondamente stravolto le tesi e le argomentazioni che venivano utilizzate nell’affrontare argomenti di questo tipo. Di per sé una metamorfosi simile potrebbe apparire fisiologica se non perfino inevitabile, eppure come spesso accade in questi casi è interessante notare che ad essere mutate più rapidamente non sono tanto le differenti risposte alle quali si è giunti quanto la natura stessa delle domande. Se da un lato l’esistenzialismo fenomenologico ha portato in dote una concezione inedita e (quasi) incontestabile sulla concezione del sacro non possiamo tuttavia fare a meno d’interrogarci sulla possibilità che tale concezione sia in contrasto o meno con altri temi già ampiamente dibattuti quali Dio, la religione e la fede.

In questo senso suppongo sia particolarmente utile rivolgerci ancora una volta ai grandi maestri del passato rispolverando le (colpevolmente dimenticate) pagine de “la natura della rivelazione” scritte con notevole lungimiranza già negli anni 30 dal teologo e premio Nobel svedese Nathan Söderblom. Secondo lui la dicotomia tra sacro e profano rappresenta il cardine di qualunque religione: perfino più della devozione o della fede in quella stessa divinità superiore in cui lui stesso aveva sempre detto di credere. Se devo essere sincero tuttavia, ad affascinarmi maggiormente di una simile dissertazione non è tanto la sua conclusione quanto il modo in cui è stata argomentata nonché, conseguenza quasi ovvia, lo studio e la ricerca ossessiva che l’hanno preceduta: per anni il nostro teologo non si limitò ad approfondire l’argomento trattato leggendo i manoscritti tipici della tradizione filosofica scandinava ma cercò con sempre maggiore febbrilità il punto di contatto con popolazione radicalmente diverse dalla sua; in questo senso si rivelò particolarmente utile la “scoperta” di un antico concetto tipico della tradizione ancestrale melanesiana, il mana, una forza sovrannaturale dalla quale Söderblom rimase particolarmente affascinato nel corso degli anni dei suoi studi con lo storico delle religioni Rudolf Otto e che insieme provarono a declinare in chiave occidentale notando le incredibili somiglianze tra tale concetto e quello più familiare alle culture europee di “forza del sacro”.

Partendo da tali considerazioni è stato dunque possibile maturare in epoche più recenti nuovi approfondimenti su come fenomeni riconducibili al sacro quali i riti e le credenze hanno inevitabilmente, nei secoli, costituito il cardine imprescindibile di qualunque forma di religione o di spiritualità portandoci dunque ad osservare questioni un tempo relegate alla trascendenza sotto una chiave antropologica e guardandole, forse per la prima volta nella storia, con uno sguardo disincantato e razionale.

Naturalmente è difficile trovare una chiave di lettura univoca per questioni tanto complesse, né tantomeno può essere considerato saggio illudersi che tale obiettivo sia raggiungibile limitandosi a bollare qualunque analisi non oggettivabile come infantile o superflua; ciò che è certo però è che l’evoluzione nei dibattiti sulla sacralità e sulle questioni metafisiche in generale è reale e che da esso abbiamo noi tutti il dovere di trarre nuovi spunti non solo di riflessione ma perfino di critica verso chi rifiuta aprioristicamente il desiderio di approfondire un tema che, per quanto cruciale, continua sempre più spesso a essere sminuito da parte della società odierna.

Tancredi Avigliano.

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