top of page

Han van Meegeren: il falsario che divenne un artista.




In questi giorni fra le pagine delle riviste d’arte di tutto il mondo non si parla d’altro che della (bellissima) mostra di Jan Vermeer al Rijksmuseum, eppure noi andremo ancora una volta controcorrente e per rendere omaggio al grande maestro del secolo d’oro olandese racconteremo non la sua storia, ma quella dell’unico uomo in grado di tributargli il più grande omaggio che un artista possa mai ricevere: imitarlo.

Nato a Deventer alla fine del XIX secolo, fin da giovane Han van Meegeren manifestò un’innata propensione per il disegno al punto da attirare le attenzioni e le simpatie del suo primo maestro di pittura, Bartus Korteling, il quale riuscì ad inculcargli la propria passione per l’arte seicentesca illustrandogli nel dettaglio le tecniche pittoriche utilizzate dai grandi maestri del secolo d’oro per dipingere i propri capolavori. Malgrado la riluttanza di suo padre Hendrikus, egli iniziò dunque a frequentare il corso di belle arti affinando progressivamente le proprie abilità e riuscendo perfino a vincere un concorso svoltosi a Delft grazie al quale ottenne abbastanza denaro da organizzare la sua prima, fortunatissima, mostra.

Purtroppo però il successo non sembrava destinato a durare: le numerose opere realizzate su commissione dell’alta borghesia olandese dell’epoca, ben presto gli valsero la fama di artista laborioso ma scarsamente creativo, critiche destinate a porre anzitempo fine alla sua carriera. Amareggiato, van Meegeren cercò conforto nella sua passione per l’arte barocca dedicandosi al restauro dei quadri dell’epoca, almeno finché un giorno non gli accadde d’imbattersi in una tela di Franz Hals, da lui ritenuta autentica ma considerata come una contraffazione dal critico d’arte Abraham Bredius: ne nacque un acceso confronto al termine del quale la versione del nostro protagonista prevalse. In quel momento, la sua vita cambiò in modo del tutto imprevedibile: non sappiamo con esattezza cosa lo portò a raggiungere la conclusione che egli potesse diventare un grande falsario, forse fu la facilità con cui era riuscito a persuadere Bredius durante la loro disputa, forse il fatto di essere ritenuto da chiunque troppo poco originale per poter diventare un artista ma abbastanza minuzioso da imitarne uno, o forse più banalmente fu la sua passione, quella viscerale attrazione verso le opere che aveva più volte venerato fino al punto da desiderare di sostituirsi a coloro che le avevano dipinte … Steen, Rembrant, Kalf, Terbrugghen e poi Vermeer, quello stesso Vermeer nato e cresciuto a Delft, la città dove molti anni prima van Meegeren aveva vinto il concorso in grado di rappresentare al tempo stesso l’apice e la più grande fonte d’illusione della sua intera esistenza.

Lui non si limitava a imitare le linee o i colori di un dipinto: tentava di riprodurne l’anima, e in un certo senso era perfino in grado di riuscirci. Cercava di fare attenzione ad ogni minimo dettaglio: non utilizzava mai pennelli di produzione recente, selezionava le tele in modo che risalissero ad almeno trecento anni prima e vi inseriva con la massima accortezza un po’ di polvere affinché sorgessero tra gli spaghi quelle piccole crepe tipiche dei dipinti invecchiati, inoltre coerentemente con quanto gli aveva insegnato molti anni prima il suo maestro Korteling, adoperò massicciamente quello stesso, raro e costoso, pigmento blu che si può ottenere solo dai lapislazzuli e che Vermeer continuò ad utilizzare lungo l’arco della sua intera carriera, perfino nei periodi di maggiore ristrettezza economica.

A tutto ciò bisogna aggiungere l’astuzia del falsario di non imitare mai i capolavori preesistenti ma di crearne di nuovi, benché ovviamente di falsa attribuzione; inoltre, occorre ricordare che malgrado Vermeer fosse un pittore seicentesco la sua fama non raggiunse il suo apice se non intorno alla fine del XIX secolo, con la naturale conseguenza che all’epoca dei fatti esistevano ancora molti dubbi circa l’effettiva quantità di quadri prodotti dal maestro olandese nonché una generica carenza di studi o di documenti che aiutassero a comprendere quanti e quali opere attribuirgli. In particolare sembra che il già citato Abraham Bredius fosse sinceramente persuaso di come il grande genio di Delft, durante il suo periodo in Italia, avesse dipinto numerose tele di cui si erano perse le tracce, fu così che quando nel 1937, durante un soggiorno nel bel Paese, Han van Meegeren spacciò un quadro da lui dipinto e intitolato “Cristo a Emmaus” come un Vermeer, il critico si mostrò entusiasta e non eseguì nessuna verifica realmente accurata prima di attestare l’autenticità di quella che nel frattempo aveva ribattezzato “l’opera più eccezionale mai dipinta da Vermeer”; fu così che il falsario realizzò la sua prima grande vendita cedendo la contraffazione al Boijmans Van Beuningen di Rotterdam in cambio di oltre mezzo milione di fiorini (circa 235.000 euro) e in una qual certa misura vendicandosi di tutti quegli esperti di pittura che fino a non molto tempo prima lo avevano trattato con disprezzo e superficialità.

Purtroppo però con gli anni iniziarono a susseguirsi anche i problemi: van Meegeren sperperò parte dei soldi guadagnati acquistando oppio ed alcol, inoltre con lo scoppio della guerra l’Olanda venne occupata dalla truppe naziste e il falsario poté sì continuare a vendere le proprie contraffazioni, ma solo a clienti decisamente poco graditi: Heinrich Himmler ed Hermann Göring, i quali pur di arricchire le proprie collezioni private con nuovi capolavori di Vermeer (o con opere ritenute tali) giunsero non solo a elargire ingenti cifre di denaro, ma perfino ad esercitare crescenti pressioni sul sottomesso governo dei Paesi Bassi affinché favorisse la compravendita.

In seguito all’armistizio van Meegeren venne dunque arrestato con l’accusa di collaborazionismo: avvilito, egli si rifiutò dapprima di favorire le indagini ed in seguito perfino di parlare con i magistrati competenti, forse anche a causa della crisi d’astinenza legata all’improvvisa privazione della morfina. L’aver venduto una parte tanto considerevole del patrimonio nazionale agli odiati nemici, rappresentava un’onta talmente grave che non poteva essere punita in altro modo se non con l’ergastolo, eppure durante una delle udienze finali del processo ecco il colpo di scena: l’imputato si alzò in piedi, visibilmente sfibrato dalla sequela di menzogne udite fino a quel momento, e gridò alla corte di aver dipinto egli stesso i quadri incriminati. Tutti i presenti apparvero esterrefatti al punto che van Meegeren dovette dipingere un nuovo falso Vermeer per dimostrare che quanto sosteneva era vero, eppure quando perfino le radiografie e i test chimici vidimarono la sua confessione il Giudice non ebbe altra scelta se non quella di credergli, decidendo infine di infliggergli una pena assai più lieve rispetto a quella inizialmente prevista.

Nei giorni successivi l’inedito falsario diventò una sorta di eroe nazionale, i suoi concittadini lo acclamarono per aver ingannato in modo così eclatante e beffardo i gerarchi nazisti, in tutto il mondo migliaia di critici, appassionati o semplicemente curiosi, vennero a sapere della sua storia chiedendosi se egli fosse un genio del crimine o un semplice impostore ed alimentando innumerevoli discussioni in merito; tutto questo, inutile dirlo, ebbe il potere non solo di rendere van Meegeren una celebrità ma di portare il pubblico a non percepire più le sue tele come delle semplici contraffazioni ma come delle opere d’arte con un valore intrinseco ed indiscutibile, cosa importa se inizialmente erano state create con uno scopo assai poco nobile?

Ad ogni modo, van Meegeren non poté godere a lungo dei benefici della sua improvvisa popolarità in quanto i problemi di salute causati dalle sue infauste dipendenze lo portarono a spegnersi ad Amsterdam il 30 dicembre 1947, all’età di solamente cinquantotto anni. Probabilmente non era riuscito a coronare il suo sogno di diventare un artista grande come Vermeer o come uno di quei maestri che tanto aveva idolatrato quand’era ancora un giovane pieno d’ambizioni, eppure di certo la sua vita era stata ben più interessante rispetto a quella di qualunque altro pittore olandese mai esistito: a quanto pare, certi artisti riescono ad entrare nella storia più facilmente della propria stessa arte.

Lucrezia Ballarin.


Comments


bottom of page