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Andrew Shannon e Monet: quando il vandalismo non riesce a fermare l’arte


Correva l’anno 1871 quando, dopo un lungo soggiorno a Londra finalizzato a sottrarsi alla guerra franco-prussiana, Monet tornò finalmente in quella Parigi che ormai trentun anni prima gli aveva dato i natali. Purtroppo per lui però, la vita nella capitale non lo affascinava più come un tempo: la città era cambiata e con essa i suoi abitanti, inoltre la notizia della morte dell’amico e collega Bazille (che al contrario di lui aveva avuto l’ingenuità di accettare la chiamata alle armi) nonché il dolore che ne conseguì spinsero Monet a desiderare una nuova vita in un ambiente più appartato e agreste rispetto a quelli che aveva fino ad allora frequentato.

La scelta ricadde quasi immediatamente su Argenteuil, un ridente sobborgo disteso sulla riva destra della Senna noto fino a quel momento principalmente grazie alla propria invidiabile tradizione viticoltrice. Lì l’artista conobbe un breve ma intenso periodo di floridità economica e di benessere il che lo condusse, conseguenza quasi inevitabile, a godere di quella serenità necessaria per incrementare la propria produzione artistica fino al punto che ben presto giunse perfino a far modificare la sua imbarcazione così da poterla trasformare in un autentico studio galleggiante avendo così la possibilità di dipingere nel bel mezzo del fiume e di riuscire a cogliere con più autenticità il luccichio della Senna. Tra le innumerevoli tele del maestro impressionista tuttavia, ve ne fu una in grado di distinguersi da tutte le altre non solo grazie alla propria incredibile bellezza ma soprattutto per via di un tocco morbido e al tempo stesso vibrante e ad una maestria senza precedenti nel raffigurare le cromaticità tipiche degli ambienti più incontaminati, quell’opera si chiamava “Bacino di Argenteuil con una barca.”

Malgrado nessuno in Francia auspicasse che un dipinto così ben riuscito dovesse abbandonare la patria in cui era stato creato, fu proprio questo il destino che spettò all’opera di Monet. Nel 1899 infatti un tutt’altro che noto ma assai appassionato intenditore d’arte, l’irlandese George Moore, s’innamorò del “Bacino di Argenteuil con una barca” e persuase l’altrettanto appassionato ma ben più facoltoso cugino, il drammaturgo Edward Martyn, ad acquistarlo per una cifra mai specificata. Il nuovo proprietario godette con gioia e riconoscenza della compagnia del capolavoro di Monet per esattamente un quarto di secolo, fino a quando vale a dire la propria morte lo costrinse inevitabilmente a separarsi dagli oggetti posseduti in vita nonché dalle opere d’arte gelosamente conservate nel proprio appartamento. La preziosa tela venne dunque consegnata in eredità alla National Gallery of Ireland, già all’epoca nota per il fatto di possedere opere di grandi maestri stranieri quali Tiziano, Velázquez e Vermeer ma che fino ad allora non aveva mai avuto l’onore di fregiarsi del quadro d’un grande maestro della pittura francese; un onore che a distanza di alcuni decenni si sarebbe trasformato in una maledizione …

Intorno alle 11.00 del 29 giugno 2012 infatti, un massiccio signore dagli occhi chiari e con indosso una felpa grigia s’introdusse nella Galleria e, con grande sbigottimento dei presenti, iniziò a prendere a pugni la tela lacerandola in profondità nel punto raffigurante la Senna e il cielo di Argenteuil (danneggiando in tutto circa il 7% della superficie totale). L’uomo venne immediatamente fermato dalle autorità e identificato come Andrew Shannon, un signore di mezza età con alle spalle oltre cinquanta precedenti condanne tra cui alcune per reati gravissimi quali furto con scasso e manipolazione. Inizialmente Shannon ammise di aver compiuto il tremendo atto di vandalismo spiegando che in questo modo intendeva vendicarsi delle non meglio specificate colpe del proprio governo, in seguito tuttavia ritrattò la propria versione sostenendo di essere svenuto e di aver urtato l’incolpevole tela di Monet per sbaglio. Giudicando scarsamente credibile quest’ultima versione, la magistratura irlandese condannò il confuso teppista a una pena di sei anni di reclusione.

Ad ogni modo più che sul destino di Andrew Shannon fu sul destino della tela che si concentrarono le attenzioni degli appassionati d’arte di tutto il mondo: sembrava infatti impossibile che l’opera, il cui valore era stato nel frattempo stimato dalle assicurazioni intorno ai dieci milioni di dollari, potesse tornare all’antica bellezza, eppure … il loro pessimismo si rivelò del tutto infondato; dopo diciotto estenuanti mesi di lavoro infatti, grazie ad un complicatissimo processo consistente nella ricucitura dei vari fili microscopici andati strappati, una qualificatissima equipe di restauratori riuscì miracolosamente a riparare il quadro il quale nel luglio del 2014 poté finalmente tornare ad essere esposto, questa volta dietro a un rassicurante vetro di protezione.

A distanza di anni in pochi sembravano ancora realmente interessati alla vicenda: perfino la scarcerazione di Andrew Shannon passò relativamente inosservata e tutto lasciava presagire che nessuno avrebbe mai più sentito parlare del malvivente irlandese. Pochi mesi dopo tuttavia, nell’ambito di un’inchiesta totalmente estranea al mondo dell’arte un poliziotto di Dublino, il Sergente Eugene McCarthy ottenne un mandato di perquisizione per l’appartamento di Shannon trovandovi un altro quadro sempre risalente alla seconda metà del XIX secolo ma questa volta raffigurante non un fiume bensì il deserto: l’opera era stata dipinta dal pittore inglese Frederick Goodall e risultava essere stata rubata nel 2006 da un lussuoso Hotel del luogo. Questa volta, sfibrato dagli anni trascorsi in cella e da una condizione sanitaria alquanto precaria (si era sottoposto da poco a un intervento chirurgico al cuore) l’imputato non tentò neppure di difendersi limitandosi a pronunciare in tribunale un laconico “facciamola finita subito.” Una giuria di suoi pari lo dichiarò colpevole dopo un processo di appena due giorni e il Giudice a causa delle sue condizioni di salute lo condannò solamente due anni di detenzione.

In fondo, per quanto sia ovviamente impossibile esprimere un giudizio sui procedimenti giuridici o sui reati compiuti dall’uomo in questione è tuttavia assai consolatorio pensare che a distanza di anni tanto i furti quanto i danni che Shannon ha procurato alle preziosissime tele in cui si è imbattuto non hanno prodotto in esse cambiamenti irreversibili e questo ci spinge a rafforzare la nostra convinzione sul fatto che l’arte, alla fine, è sempre più forte delle follie d’un singolo individuo.

Ginevra Del Giudice.

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